Quanto tempo ci vuole per tornare a fidarci?

Quanto tempo ci vuole perchè si torni ad essere liberi dalla morsa di quello che è stato e preda del desiderio di buttarsi a capofitto?

La mia vita, dall’inizio di questo 2016, è stata un susseguirsi di tuffi: tuffi nel mondo, con viaggi che mi hanno inciso un solco nell’anima e si sono infilati, con i loro ricordi brucianti, negli angoli più belli. Tuffi nelle persone… In tante sbagliate, che non erano pronte ad accogliere il mio salto nel vuoto e, per paura dell’intensità del volo, si sono spostate di lato. Non avevano braccia abbastanza forti, non avevano cuori abbastanza aperti per farmi spazio.

E allora sai che c’è?

Sono persone che ho lasciato indietro.

Le ho relegate nella scatola dei ricordi: quelli che avrebbero potuto essere e non sono stati, quelli che hanno avuto timore dell’ignoto e non hanno nemmeno iniziato a respirare davvero, destinandosi ad una fine certa, e prossima.

Poi mi sono tuffata nelle persone giuste: nelle amiche di sempre e anche in quelle nuove, che hanno dimostrato di avere cuori ancora più grandi di ogni sempre, negli sconosciuti con anime brucianti e storie da raccontare, in amori che potrebbero essere e forse saranno.

Mi sono buttata senza scudi e senza armatura in progetti folli, in fantasie deliranti.

Mi sono buttata in “Milano 2017” e “Mondo 2018”, mi sono buttata nelle parole e nella passione.

Mi sono buttata nella mia stessa anima e l’ho scavata con l’aiuto di mani esterne, di occhi curiosi, desiderosi di infilarsi nei miei e di rimanerci.

Non ho timore a dire che, seppure aggravati dal peso delle novità, del cambiamento, della paura del futuro, questi primi sei del 2016 sono stati i più belli della mia vita.

Quanta vita ho visto scorrere sulle Highlands scozzesi, sul metro di neve caduto sul Passo Sempione, nella tenda che mi sono regalata per il mio compleanno e che per due giorni ha sfidato la coltre di nebbia in cima al Passo del Faiallo. Ho respirato la vita nel deserto e negli orti della Spagna, riparata dietro alle lenti della mia macchina fotografica, ne ho fatto tesoro a piene mani fra le bellezze di Roma, nutrendomi di sogni e fantasie cantanti, e nei Balcani quell’esistenza l’ho fatta mia definitivamente.

Gelosamente, con fame, con desiderio di mettere fine alle domande e di dare una tregua al dolore e all’incertezza.

Sono stati giorni di addii e scoperte, di baci e di muezzin, di chilometri di freddo e sudore, di pioggia.

Che ha lavato tutto e ha preparato un campo neutro. Dentro, fuori.

Ho fatto spazio alla leggerezza, ai sentimenti veri, al ritorno e alla voglia di tornare a partire, ancora una volta.

L’acqua ha fatto spazio ai desideri e ha lavato il superfluo: ora sta diluendo la paura, sta portando via le macerie dando sollievo.

Alla sete, e al cuore ingombro di forse.

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