Pensavo da tempo al momento in cui sarebbe successo: pensavo a come avrei vissuto poi, cosa avrei avuto il permesso – e la possibilità – di fare, ma non mi ero mai interrogata su quello che avrei provato durante, o prima che tutto si concretizzasse e diventasse realtà.
L’anno scorso parlavo di come la libertà del lavoro a tempo determinato permettesse di orientarsi e orientare il futuro: nell’incertezza, è vero, ma con una solidità a scadenza che era sempre meglio del continuo brancolare nel buio dato dalla precarietà provata fino a quel momento. Era un tempo a termine consapevole, che forniva qualche strumento e lasciava aperte le porte al dopo. Sia che fosse stato una ricerca, o una meta da raggiungere già ben chiara nella mente.
Ora, a pochi giorni dalla firma di un contratto a tempo indeterminato, a pochi giorni dall’inizio di un nuovo capitolo, mi trovo un’altra volta a riflettere sullo stesso argomento e pensare che la mia vita, e la mia natura, fondamentalmente non sono mai cambiate. Perché ora ho deciso di accettare la sicurezza per costruire una solidità che voglio vedere come un trampolino di lancio. Perché voglio armarmi della concretezza di poter scommettere ed essere indipendente. Questa volta per davvero, e senza orizzonti foschi a profilarsi a poca distanza dalle mie ruote.
Firmo un contratto a tempo indeterminato con la lucidità data dalla consapevolezza che nulla è una gabbia, e che la vita è un costante mutamento di intenzioni, scelte e direzioni. Scelte che possiamo prendere perché, fondamentalmente, siamo e saremo sempre liberi.
Di allontanarci da quanto fatto fino a quel momento, e di raggiungere altre possibilità.
Di scrivere costantemente capitoli aggiornati della nostra vita, e di cambiare punto di vista.
Quando – ormai nove mesi fa – ho preso la decisione di partire per il nostro viaggio verso Est e anche poi, quando sono tornata, la mia vita è stata spesso sondata. Mi è stato detto che lasciare tutto è un lusso, e che avere le condizioni che ci permettano di farlo è un privilegio.
Sarà davvero così? Forse in parte sì, se lusso vuol dire essere giovani e coscienti. Se vuol dire essersi impegnati sempre e aver stabilito delle priorità: respirare come individuo singolo prima di pensare al multiplo, studiare e trovare una voce. Lavorare – anche se in maniera precaria, o sposando la scelta del tempo determinato – e scegliere di risparmiare. Perché nulla è dovuto, e tutto quello che non viene investito in oggetti materiali o beni effimeri, di cui stancarsi troppo presto, viene speso per rendere possibili le esperienze.
Lontano, o vicino a casa.
Quante volte mi è stata detto “se avessi una famiglia da mantenere tutto questo te lo sogneresti!”, o altre affermazioni simili.
Ed è proprio quello il punto! Ho avuto l’acume di capire da giovane che non volevo limitare il mio orizzonte possibile a quello in cui ero nata e cresciuta, e in quanto giovane ho scelto di dedicare la mia vita a quello che volevo fare, senza pensare a ciò che è bene fare o gli altri avrebbero voluto per me. Famiglia compresa, a volte.
Rispondendo solo di me stessa, ero libera di scegliere. Perché non volevo vivere il futuro pensando con nostalgia bruciante a quello che non avevo avuto il coraggio di fare quando – con qualche sacrificio, quello è certo – avrei potuto.
Sono sempre stata convinta che si possa raggiungere l’età adulta ed essere felici solo allontanando da noi rabbia e pentimento. Che non funzioni puntare il dito contro chi ha deciso che per tutto il resto è troppo presto (qualunque sia la sua età) e vuole godere responsabilmente della propria indipendenza.
È pensando a questo che, fra qualche giorno, firmerò un contratto a tempo indeterminato e quella firma rappresenterà tutta la mia libertà. La libertà data dalla consapevolezza che l’immobilità non farà mai al caso mio, e che non sarà uno scarabocchio su un foglio a smorzare il mio entusiasmo per quello che muove davvero la mia anima: il viaggio, la strada da percorrere fino alla meta e il racconto delle emozioni.
Quando una persona, soprattutto se della mia età, mi dice che non potrebbe mai mollare tutto e ripartire da zero, mi chiedo quanto a fare da padrone in questa ammissione non sia la paura, più che la verità.
È la paura che ci spinge a pensare che il luogo in cui ci troviamo sia irrimediabilmente cucito addosso a noi, e che non esistano prospettive di cambiamento. È la paura che ci invita a essere pigri, perché è più comodo illuderci che non abbiamo il potere di rivoluzionare la nostra esistenza, piuttosto che metterci in gioco e costruire nuovi progetti.
Io firmerò la mia sicurezza, fra pochi giorni, ma sotto la superficie il moto continua. Perché sapere di avere la possibilità di decidere, di voltare pagina e rinascere è l’unica cosa in grado di farci sentire davvero vivi.
2 Comments
Daniela
Io non ho mai avuto paura del posto fisso. Anzi, ringrazio il cielo di averne uno. La routine giornaliera per molti è un calvario, per me sicurezza e fonte di tranquillità. Ognuno di noi è diverso ed ha diritto di prendere le proprie decisioni pensando solo e soltanto a sé stesso. Questo è l’importante.
Arianna Lenzi
Per fortuna non siamo tutti uguali 🙂 Ci mancherebbe!